La scoperta di “Lucy”, uno scheletro straordinariamente completo di Australopithecus afarensis di 3,2 milioni di anni, ha rimodellato radicalmente la nostra comprensione dell’evoluzione umana. Scoperto a Hadar, in Etiopia, nel novembre 1974, dai paleoantropologi Donald Johanson e Tom Gray, il fossile ha fornito informazioni senza precedenti sulle prime fasi dello sviluppo degli ominidi.
La svolta accidentale
Johanson e Gray non stavano cercando attivamente uno scheletro completo. La loro squadra stava scavando nella valle di Awash in seguito alla scoperta di antichi strumenti di pietra. Quel giorno, un frammento osseo luccicante in un burrone attirò la loro attenzione, portando al ritrovamento di numerosi resti scheletrici appartenenti ad un unico individuo. La squadra ha soprannominato scherzosamente il fossile “Lucy” in onore della canzone dei Beatles che suonava nel loro campo, e il nome è rimasto.
Perché Lucy è importante
Prima di Lucy, infuriavano i dibattiti sull’ordine dell’evoluzione umana. Molti credevano che le dimensioni del cervello aumentassero prima del bipedismo (camminare in posizione eretta). Lucy, con la sua ridotta capacità cranica e gli evidenti adattamenti alla locomozione a due gambe, dimostrò il contrario. Questa scoperta ha stabilito che il camminare in posizione eretta si è evoluto per primo, aprendo la strada al successivo sviluppo del cervello.
“Lucy… ha risolto un dibattito che si stava formando sul campo”, secondo Johanson.
Questa scoperta ha posto A. afarensis saldamente nel lignaggio degli antenati umani, influenzando la ricerca successiva e consolidando la nostra comprensione di come i primi ominini siano passati da creature simili a scimmie agli esseri umani moderni.
Una vita ricostruita
Nel corso di decenni di studio, gli scienziati hanno ricostruito aspetti della vita di Lucy. Aveva forti muscoli delle gambe adatti sia per camminare che per arrampicarsi, anche se l’anatomia del polpaccio suggerisce che non fosse una corridore veloce. Le prove suggeriscono che anche Lucy abbia utilizzato strumenti, anche se la portata esatta rimane poco chiara. Ulteriori scoperte in Tanzania, Kenya ed Etiopia hanno rivelato oltre 500 esemplari di A. afarensis, fornendo un quadro più ampio della storia evolutiva milioni di anni di questa specie.
L’eredità di Lucia
La scoperta di Lucy non ha solo risposto a domande; ne ha aperti di nuovi. Ha stimolato ulteriori esplorazioni dei sedimenti più antichi in Africa, portando all’identificazione di ominini ancora più antichi come “Ardi” (Ardipithecus ramidus ). Oggi, la paleoantropologia riconosce un albero genealogico diversificato dei primi antenati umani, con Lucy che funge da pietra angolare cruciale nella nostra conoscenza di come siamo diventati ciò che siamo.
L’impatto del fossile va oltre la scienza: Lucy rimane un simbolo iconico delle origini umane, affascinando sia gli esperti che il pubblico. La sua storia ci ricorda che il percorso verso l’umanità moderna non è stato lineare, ma un viaggio complesso plasmato dall’adattamento, dalla sopravvivenza e dall’incessante ricerca di comprendere il nostro passato.
























